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Al Bif ‘Fratelli di Culla’, i bambini di un brefotrofio protagonisti di un evento speciale

Il documentario “Fratelli di culla”, diretto da Alessandro Piva, è stato presentato al Bif&st 2025 nella sezione dedicata al cinema italiano in concorso. Questo lavoro cinematografico si concentra sulle storie commoventi dei bambini che hanno trascorso la loro infanzia nell’ex brefotrofio di Bari, un luogo dove un gruppo di donne, tra cui balie, suore, cuoche, bambinaie, educatrici e assistenti sociali, ha svolto un ruolo fondamentale nel loro accudimento.

La pellicola utilizza filmati d’archivio per documentare la vita all’interno di queste strutture, mettendo in luce l’evoluzione del ruolo femminile dalla metà del secolo scorso fino ai giorni nostri. Attraverso molte interviste, il racconto si snoda tra i ricordi vividi delle operatrici e le ricerche, a volte disperate, degli ex ospiti, che ora si trovano a dover affrontare leggi e procedure che molti considerano obsolete, nel tentativo di rintracciare le proprie origini e ricostruire la loro identità.

Il sistema dei brefotrofi e le sfide odierne

Il film di Piva non si limita a descrivere il funzionamento dei brefotrofi in un periodo storico in cui le famiglie erano spesso costrette a nascondere gravidanze non conformi, ma si spinge anche a esplorare il presente. Gli ex bambini, ora adulti, si trovano a combattere contro numerosi ostacoli burocratici per risalire alle loro storie personali. Questa ricerca di identità si intreccia con la narrazione dell’evoluzione della condizione femminile, evidenziando i cambiamenti sociali avvenuti nel corso degli anni.

Riflessioni sull’identità e sul passato

Alessandro Piva, parlando del suo lavoro, ha affermato che il film rappresenta un tassello importante nel suo percorso di documentarista, focalizzandosi sulla società italiana del dopoguerra. “Attraverso repertori d’epoca e testimonianze, il film fissa la memoria di un’epoca fondamentale”, ha dichiarato il regista. Un tema ricorrente è il legame tra infanzia e anzianità, tra il passato da preservare e la necessità di comprenderlo.

Il regista ha anche sottolineato un aspetto toccante della sua opera: molte persone hanno scoperto solo in età adulta di essere state adottate. Questo ha portato alla creazione di un finale che include la voce di altre persone, che utilizzano i social media per lanciare appelli e cercare di capire le proprie origini biologiche. Piva considera il suo documentario non solo un’opportunità per riflettere su temi cruciali della nostra storia recente, ma anche uno strumento utile per studiosi e per la memoria collettiva della società.

Amalia Sisto

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