C’è una correlazione inquietante e tutt’altro che casuale tra la crisi del Partito Democratico negli Stati Uniti e il declino creativo di Hollywood e della Disney. Entrambe le istituzioni, che hanno a lungo influenzato l’immaginario collettivo occidentale, sembrano aver perso la capacità di connettersi con il cuore dell’America. L’adozione di una narrativa woke, spesso superficiale e predicatoria, ha non solo alienato una parte significativa del pubblico, ma ha anche svuotato di significato una macchina mitopoietica che per anni ha venduto sogni, speranze e ideali a tutto l’Occidente.
Hollywood, un tempo emblema del sogno americano, ha raccontato storie che parlavano a tutti: operai e intellettuali, democratici e repubblicani, bianchi e neri. Film iconici come Casablanca (1942), La vita è meravigliosa (1946), Rocky (1976) e Forrest Gump (1994) hanno affrontato i dilemmi morali dell’individuo contro il sistema, riflettendo le paure e le speranze di una nazione intera. La Disney, dal canto suo, ha creato blockbuster capaci di trasmettere sogni e valori universali, offrendo un rifugio dal cinismo della realtà. Le sue storie, semplici ma potenti, hanno costruito una mitologia condivisa, caratterizzata da avventure senza tempo.
Negli ultimi anni, però, Hollywood ha progressivamente abbandonato la complessità morale e narrativa che l’aveva resa grande, come evidenziato nel documentario Five Came Back (2017). L’adozione di un’agenda identitaria e woke ha finito per escludere piuttosto che includere. Le storie sono diventate didascaliche, i personaggi ridotti a semplici stereotipi al servizio di messaggi politici prevedibili. La Disney, nel tentativo di restare al passo con i tempi, ha riscritto i suoi classici e prodotto film animati ricchi di lezioni morali destinate a compiacere le élite liberal della California, piuttosto che le famiglie del Midwest. Questo allontanamento dalla narrazione autentica ha stancato il pubblico, privando la sinistra americana di uno strumento potente: la capacità di influenzare l’immaginario collettivo attraverso storie universali. Gli spettatori, stanchi di essere trattati come studenti indisciplinati, hanno smesso di prestare attenzione.
In ambito politico, il Partito Democratico ha subito un destino simile. Sempre più percepito come l’espressione delle élite urbane e universitarie, ha adottato un linguaggio identitario che ha alienato molti. Le campagne elettorali si sono riempite di concetti come microaggressioni e safe spaces, parlando più agli attivisti di Twitter che ai lavoratori disoccupati dell’Ohio o della Pennsylvania. La mancanza di una narrazione convincente che affrontasse le ansie economiche e culturali dell’America profonda ha lasciato spazio ai Repubblicani, capaci di esprimere il malcontento popolare con un linguaggio diretto e immediato. Il vuoto lasciato dai Democratici è stato riempito da una retorica che, pur nelle sue contraddizioni, sembrava rispondere alle paure reali di milioni di elettori.
La narrazione è il collante di una società, il mezzo attraverso cui le persone danno senso alla realtà e costruiscono una visione condivisa. Un immaginario comune non si basa su slogan semplici, ma su storie che trasmettono emozioni profonde e valori universali. Le grandi narrazioni non si limitano a intrattenere, ma contribuiscono a formare identità e a generare un senso di appartenenza. Tuttavia, l’intento di includere diverse prospettive si è trasformato in frammentazione, aumentando l’incoerenza del messaggio e allontanando il pubblico. La crisi dell’immaginario comune si verifica quando le narrazioni diventano strumenti di divisione. Se Hollywood e la politica vogliono riguadagnare la fiducia del pubblico, devono riscoprire il potere della narrazione autentica, capace di parlare a tutti senza secondi fini ideologici.
Il collasso simultaneo del Partito Democratico e di Hollywood rappresenta un patto infranto con il pubblico e l’elettorato. Entrambe le istituzioni hanno dimenticato che il potere delle storie risiede nella loro capacità di coinvolgere ed emozionare, piuttosto che educare. Quando l’immaginario collettivo diventa strumento di divisione, si verifica una perdita di influenza e credibilità. La crisi di Hollywood e Disney non è solo un problema industriale, ma un segnale di un fenomeno più profondo: la fine del monopolio della sinistra liberal sull’immaginario occidentale. Senza una narrazione autentica, capace di parlare a tutti, il declino dei Democratici continuerà senza sosta.
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