Il debutto alla regia dell’attrice francese Judith Davis, che interpreta anche il ruolo della protagonista Angèle, si presenta come un ritratto generazionale e un atto di ribellione contro un presente sempre più opprimente. Ambientato a Parigi, il film mette in luce le sfide di una giovane urbanista che, superati i trent’anni, si trova a fronteggiare le dure realtà del mercato del lavoro.
Angèle vive una situazione difficile, lavorando in un contesto sottopagato e precario. La sua vita professionale subisce un brusco arresto quando il suo capo, un ex professore universitario, le comunica che il suo posto sarà occupato da un nuovo stagista, più economico. Durante il licenziamento, il suo ex docente le ricorda che il mondo funziona così, contraddicendo le sue precedenti lezioni, in cui la incoraggiava a lottare per i propri ideali senza compromessi. Questo evento segna l’inizio di una profonda crisi esistenziale per la protagonista, che si trova a dover affrontare il tema centrale del film: la difficoltà di seguire i propri valori in un contesto che sembra negare ogni forma di utopia.
Il titolo originale del film, Cosa resta della rivoluzione, rivela l’approccio intimo e personale della regista. Il titolo francese Tout ce qu’il me reste de la révolution suggerisce un senso di nostalgia e disillusione. Angèle, cresciuta con il mito delle rivoluzioni passate e figlia di attivisti del Sessantotto, deve confrontarsi con i fantasmi della sua infanzia. La madre, che ha abbandonato la famiglia quando Angèle era piccola, ha rinunciato all’attivismo, mentre il padre continua a vivere nel ricordo di un’epoca di speranza, lottando con la sua quotidianità.
La vita di Angèle è ulteriormente complicata dalla scelta della sorella, che ha optato per una vita borghese e un marito pragmatico. Queste dynamiche familiari alimentano tensioni e frustrazioni nella giovane protagonista. Con un fervore irrisolto, Angèle si muove tra momenti di commedia e dramma, cercando un senso di appartenenza mentre critica una società dominata dal capitalismo e dalla produttività. La sua consapevolezza della difficoltà di cambiare il mondo la porta a una lotta interiore, in bilico tra la speranza e la rassegnazione.
In questo contesto, Angèle trova rifugio in un piccolo collettivo di attivisti, un gruppo in cui può esprimere le sue idee e confrontarsi con altri. Tuttavia, anche all’interno di questo gruppo emergono divergenze che mettono in luce l’impotenza di fronte a una realtà difficile da modificare. Qui, incontra un giovane preside, un personaggio timido che condivide con lei alcuni ideali, ma con un approccio più moderato. La loro interazione suggerisce che, nonostante le differenze, ci possa essere una possibilità di costruire un futuro e trovare un equilibrio tra le loro visioni.
Il film di Judith Davis si presenta quindi come un’opera che invita alla riflessione sui valori e le sfide della generazione contemporanea, in un mondo che sembra sempre più distante dalle utopie sognate.
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