“Il Mediterraneo rappresenta per me una visione di mondo, un modo di vivere e un’idea di felicità, un concetto di vita condivisa. Questa è la mia concezione del Mediterraneo”, dichiara lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, che ha partecipato al BIF&ST 2025 come presidente del “Concorso Meridiana”. L’autore, una delle figure più influenti della letteratura mediterranea, esprime una visione poetica e politica del mare che unisce diverse nazioni. La sua urgenza di denuncia nasce dalle storie e dalle culture che ha narrato nei suoi romanzi, ambientati in Marocco, Francia e Italia. Afferma anche che “il Mediterraneo è diventato un cimitero, il più grande del mondo”, citando il tragico bilancio di trentamila morti negli ultimi vent’anni.
Secondo Tahar Ben Jelloun, il cinema, la letteratura e il giornalismo hanno un compito fondamentale da svolgere. È essenziale che gli artisti comprendano a fondo il Mediterraneo e riflettano su cosa significhi davvero parlarne. La sfida non è tanto raccontare il mare, quanto dare voce alle donne e agli uomini politici che governano attualmente in Francia, Italia e Spagna. “Non tutti i governanti hanno la dignità necessaria per affrontare questo dramma”, sostiene l’autore. Ben Jelloun sottolinea che esiste una battaglia in corso e che le armi utilizzate non sono le stesse per tutti. Registi e scrittori dovrebbero sforzarsi di rappresentare in modo più autentico la realtà del Mediterraneo, ma spesso le loro opere faticano a trovare una distribuzione. Film provenienti dalla Grecia o dal Sud del Mediterraneo, infatti, incontrano notevoli difficoltà nel trovare spazio nelle sale, dove i distributori tendono a privilegiare i blockbuster americani.
L’interesse di Tahar Ben Jelloun per il cinema è nato in tenera età. Ricorda con chiarezza il suo primo film, un musical egiziano in bianco e nero che ha visto con i genitori. “Avevo cinque o sei anni e mi sembrava ridicolo e affascinante allo stesso tempo”, racconta. Il secondo film che ha visto era un’opera di guerra, portata al cinema da un cugino. “Ricordo che lui saltò sulla sedia, ma io gli dissi di calmarsi, perché era solo cinema”, aggiunge. Da quel momento, ha continuato a guardare film, arrivando a vedere almeno uno al giorno.
Tahar Ben Jelloun si definisce uno spettatore molto attento ed esigente. “Quando un film è brutto, me ne vado”, afferma, evidenziando il suo impegno come giurato. Riconosce che molti registi producono opere senza idee solide. Per lui, “il cinema di oggi è malato e sta morendo”. Rimpiange il cinema di autori come John Ford, Billy Wilder e Federico Fellini, affermando che oggi non ci sono più opere di quel calibro. Critica anche il cinema europeo attuale, che considera “di bistrot”, incapace di stabilire una distanza tra la camera e l’oggetto ripreso.
Tahar Ben Jelloun affronta il tema della morte, affermando che è costantemente presente nei media e nel cinema, ma raramente viene trattata con la giusta profondità. “La vita è diventata un tabù, mentre la morte è spettacolarizzata”, dichiara. Secondo lui, il cinema dovrebbe affrontare questioni più complesse e problematiche, piuttosto che cercare di intrattenere il pubblico. Riguardo alla crisi del racconto, evidenzia come la narrazione cinematografica sia stata sostituita da quella seriale, con scrittori che pensano già alla possibilità di adattare le loro opere in serie. Nonostante ciò, ammette di seguire alcune serie che lo catturano.
Tahar Ben Jelloun continua a rivedere i classici, trovando sempre nuovi dettagli. “Ogni volta che rivedo un film come ‘La contessa scalza’ di Mankiewicz, rimango stupito dalla perfezione”, afferma. La sua passione si estende anche al surrealismo di Luis Buñuel e ai film di Buster Keaton e Charlie Chaplin. “Quando vedo mio nipote ridere di fronte a un film di Charlot, capisco che quel cinema non perderà mai il suo valore”, conclude, esprimendo la sua convinzione che il cinema classico continui a vivere nel cuore delle nuove generazioni.
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